Psicoanalisi e letteratura
La letteratura accompagna i pensieri.
Non smettiamo di sfogliare le pagine
“Leggiamo per sapere che non siamo soli”
"Ogni libro è un viaggio, e ogni lettore un viaggiatore". Emily Dickinson
"Una casa senza libri è come un corpo senz’anima." Cicerone
"Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso". Marcel Proust
“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra, che già viviamo, e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi”. Cesare Pavese
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Pensieri dalla lettura “Il libro bianco”, di Han Kang (prima edizione 2016)
Questo libro travolge con la crudezza gentile con cui ci avvicina al mistero della vita, della morte. Dolore, perdita, incontro, speranza di sopravvivere, nella mente e nel corpo. L’ autrice, senza risparmiare a se stessa e a noi lettori nessun angolo buio della mente, avvicina all’impenetrabile mistero della fragilità, così drammaticamente irrinunciabile, che vede protagonista ogni essere umano. Come possiamo vivere perdite, solitudini, dolori, così intensi da non poter più respirare? Nella sublime poesia e nella lieve sonorità delle parole, la scrittrice ci accompagna dentro territori che, via via, prendono forma e appaiono più nitidi, senza perdere il carattere di ombra inestricabile. Una lettura che non possiamo non concederci. Ci spaventerà, ci commuoverà, ci farà sentire liberi. Per ricordarci che siamo umani tra gli umani, imperfetti, spaventati, ma ancora capaci di pensare, di immaginare, di regalare significati. E’ sorprendentemente terrificante essere dentro tutto questo, è una vertigine vitale e mortifera insieme. Ma ancor più spaventoso è non essere in grado di avvicinarci a tutta questa intensità, impedendoci di entrare nel vortice dell’umano. Questa immersione è dolorosamente necessaria. Possiamo riemergerne sentendoci diversi, non più uguali a noi stessi.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva
Pensieri dalla lettura “Non dico addio”, di Han Kang (prima edizione 2024)
Un libro visionario, poetico, reale. Ci convoca sulla possibilità di sentire l’altro, dentro di noi. Due protagoniste, vite diverse, che si sfiorano, si toccano, con una profondità misteriosamente vorticosa, ma con una delicatezza sottile, come le piume di un uccellino, come le ali di una fafalla, appena percettibili, senza eccedere. Sentieri tra neve e ghiaccio, scivolosi, anche rischiosi. Si è soli in questi passaggi. Dolorosamente alla ricerca delle proprie origini e del significato individuale della vita. Ma resta la speranza di poter precorrere, con un altro nella nostra mente, questi territori. Un altro che ci aiuti a risalire, se ci troviamo su di un terreno scivoloso, instabili sul bordo di un precipizio. Senza far troppo rumore, ma appoggiandoci, come dei rampini per il ghiaccio, ad una forza interna, dove l’altro è irrinunciabilmente presente. La bufera di neve, che può farci sentire schiacciati, seppelliti, morti senza tempo e senza speranza per pensare ancora, contiene un filo che ci lega all’umano, altro da noi, che abita la nostra mente. Il libro ci permette di pensare a quei legami, rispettosi e silenziosamente partecipi, che accompagnano la nostra vita interna, senza pretese di risposta, ma con la delicata leggerezza di una presenza che resta vitale e calda, nonostante il gelo che possiamo attraversare. Quei legami che dobbiamo custodire, con gelosa attenzione, dentro di noi e che scaldano il cuore dell’esistenza.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva
Pensieri dalla lettura “La casa della moschea” di Kader Abdolah
Una lettura che ci porta in un modo di vivere distante, in ambienti sconosciuti, in cui troviamo spazi potentemente noti, perchè tutti apparteniamo al genere umano. Nel cuore della Persia, un uomo, ci porta dentro la sua casa, dove prendono forma emozioni, storie, paure, esperienze. Ascolteremo la voce di chi sopporta l’oppressione, di chi sceglie di ribellarsi, di chi osserva ciò che avviene. Il tempo scorre in questo romanzo e ci mostra le molte sfaccettature dell’esistenza umana. Cosa può fare l’essere umano di fronte al procedere della vita? il desiderio ci spinge spesso verso nuovi territori, nonostante i numerosi pericoli che possiamo incontrare, come avviene durante l’adolescenza e nel corso dei cambiamenti che costellano la nostra esperienza. Spinte aggressive, vitali, intensamente trasformative. Ma tutto questo ci porta ad osservare, con dolorosa inquietudine, chi resta fermo, oppure chi si sposta con velocità diverse dalla nostra. Impariamo, con il tempo, che l’altro non ci segue nei nostri percorsi, che resta qualcosa di inafferrabile nella natura umana, che ci porta a continuare nel nostro incedere, tollerando un’inevitabile solitudine. Aga Jan, il protagonista di questo romanzo, osserva la vita intorno a lui, la pensa dentro se stesso, crea significati, intreccia fili, come un tessitore esperto che legge in quelle trame il senso della propria esistenza. Cosa ci porta a fare delle scelte? cosa ci impedisce di scegliere? una lettura piena, intensa, vera, che ci conduce nei meandri dell’esperienza umana, seguendone le tessiture senza rinunciare ai tanti sentieri che possono dipanarsi di fronte a noi. E allora, possiamo sentirci intimamente legati a chi non è in grado di esprimere alcunchè, a chi strilla a gran voce il proprio dissenso, a chi, dimenticando che l’altro è anche lui stesso, programma l’uccisione di esseri umani, a chi osserva impotente l’ambigua natura dell’uomo. Quale posizione prendere? questo libro ci permette di avvicinare le molteplici angolature che sono dentro di noi, riconoscendo con coraggio che il saggio non è colui che osserva dall’alto ciò che avviene, ma colui che è realmente in grado di mettere mano a tutto questo, senza sottrarsi al dolore individuale, alla violenta lotta delle passioni, all’ambivalente apparenza del mondo che lo circonda. L’autore, con una profondità rara, ci permette di non dimenticare l’intima natura dell’uomo, che non può mai ergersi a giudice di un altro, ma può solo sostare nell’incontro vero, fino a quando avrà coraggio di avvicinare aree profonde, difficili, ambigue. Permettiamoci di guardare con umana compassione a tutti i protagonisti di questa storia, ricordando con coraggio che qualsiasi esperienza chiede di essere vissuta con la dolorosa realtà di sentirci umani tra gli umani, quindi fragili, complessi, esistenti. Un libro che ci riconcilia con la nostra essenza più profonda.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva
Pensieri dalla lettura di un grande classico “Il barone rampante” di Italo Calvino
Questo libro non può mai lasciarci indifferenti. Sia che lo leggiamo da giovani, sia che lo rileggiamo, nel corso del tempo. Cosimo alberga in ognuno di noi, in un angolo buio, pronto a balzare fuori, appena lo scorrere della vita ne offre l’occasione. Allora, di fronte alle fatiche, alle difficoltà, alle incomprensioni, alla violenza della nostra rabbia e dell’altrui violenza, siamo pronti a trincerarci sugli alberi, offesi e maestosi, per non scenderne mai più. Ma la profonda e saggia morale di Calvino ci insegna come la durezza e la rigidità possano essere esasperate a tal punto da impedirci di dialogare con queste parti di noi, chiudendoci in un’esistenza da cui tagliamo via qualcosa di fondamentale. Cosimo non metterà mai più i piedi sulla terra, condurrà la sua esistenza sugli alberi e non si permetterà di raggiungere il suolo neanche al momento della morte. Lo troviamo appeso al tenue filo di una mongolfiera, mentre sparisce ai nostri occhi increduli di lettori. Cosa vuole dire mettere i piedi per terra? quali aspetti di noi dobbiamo avvicinare per permetterci un’esistenza pienamente vissuta? La storia di Cosimo ci riguarda tutti. E’ facile salire sui rami del nostro narcisismo, guardando dall’alto il mondo, trovandoci in una posizione apparentemente privilegiata, che invece nasconde un’ottusa e sciocca chiusura. Cosa ci impediamo di vedere? l’odio, ad esempio, verso chi non è come vorremmo, verso parti di noi che non ci piacciono. L’invidia, verso chi ha qualcosa che noi non abbiamo o che abbiamo definitivamente perduto. Ma anche vivendo sugli alberi, il nostro protagonista affronta le durezze della vita, le mancanze, i propri limiti. E’ solo un’illusione pensare di non fare i conti con la complessità che si muove dentro e fuori di noi. La vita, intorno a Cosimo, continua a scorrere. Il tempo non si ferma con lui. Eventi di vita, di morte, legami, rotture. La vitalità di chi decide di rimanere ancorato al terreno non può essere spenta. Questo romanzo, dolorosamente, ci ricorda che, quando si rompe un collegamento tra la realtà e il mondo interno, tra noi e gli altri, potrebbe non ricomporsi. Ed è difficile accettarlo e viverlo con pienezza. Leggendo il romanzo attendiamo con ansia che Cosimo possa finalmente scendere, ritrovare se stesso e il mondo. Ma non avviene. E il lettore deve prendere atto che c’è una rottura insanabile. La vita prosegue, su livelli diversi. Cosimo potrà dire a se stesso di aver vissuto una vita piena? ha vissuto ciò che poteva, trovando conforto nel proprio luogo idealmente protetto, ma chiuso nell’incomunicabilità con se stesso e con l’altro. Chi resta con i piedi sulla terra, nella realtà, tollera l’ambivalenza della natura umana, diventa in grado di avvicinare ciò che resta non riparabile. Chi sceglie di salire con Cosimo, i Baroni Rampanti, restano intrappolati in nobili dimore, altezzosi, ma ciechi alla complessità dell’umano. Caro Barone, se qualcuno avesse potuto incontrarti davvero, nel tuo triste isolamento, avrebbe forse potuto sentire il tuo dolore nell’essere stato incapace di vedere l’altro. Non è avvenuto. Possiamo provare dispiacere per te, che non hai potuto utilizzare ciò che avevi accanto e dentro per entrare nell’avventura della vita. Chi tenta di restare ancorato alla terra, sa quanto è difficile, ma sa anche quanto può gioire nel lasciare il posto a qualcuno che verrà dopo di lui. Tu, caro Barone, a chi hai lasciato il tuo posto?
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva

Pensieri dalla lettura del libro “La bestia nel cuore”, di Cristina Comencini
Un libro denso, oscuro, dolorosamente reale. Sabina e Daniele, fratelli uniti da un passato difficile, che riemerge nelle sue ombre inquietanti e tocca corde profonde. Una musica dissonante, stonata, che appare quasi inavvicinabile. Orchestre di corpi che non si incontrano, che non possono entrare in sintonia. Vivere il dolore delle perdite, delle mancanze, delle ferite. Possiamo salvarci da tutta questa terribile ondata di angoscia? quanta realtà possiamo guardare e sopportare? possiamo nasconderci dalla nostra stessa distruttività? La verità spaventa, fa paura, perché non può essere ammorbidita, non si può rendere più tollerabile. Entrare in contatto con qualcosa che non si può riparare non è sempre possibile. E’ arduo guardare ciò che non ha soluzioni, che rimane indurito, inavvicinabile, rotto. A volte ci troviamo a sostare in territori ambigui, scivolosi, scomodi, perché è troppo dolorosa la realtà che chiede di essere affrontata. La madre di Sabina e Daniele conosce molto più di ciò che è disposta a dichiarare. Osserva, silenziosa, ciò che accade, senza parlare, senza permettersi di pensare. E così la verità si offusca, si travisa, si cela dietro al mantello dell’impostura, della vergogna, della colpa, dell’impenetrabilità. I protagonisti proseguono le loro vite, ma l’ombra oscura li segue e li incastra, minacciosa. Per lasciarla andare, sarà necessario attraversare i territori della rabbia, della paura, del dolore, dello sgomento. Nulla sarà risparmiato. Sia a chi sceglie di non trovare alcuna strada, chiudendo ogni contatto con se stesso e con gli altri, nell’inquietante ripetizione di qualcosa di impensabile. Sia a chi sceglie di sentire tutto ciò arriva, la potenza della mancanza, la falsità del legame, l’ambiguità dell’incontro con l’altro, la rabbia dell’intrusione, la colpa per essersi sottratti. Il libro ci parla di tante posizioni che noi stessi possiamo assumere. Silenziosamente complici, rumorosamente protestatari, tristemente muti. E in tutte queste posizioni, siamo continuamente in contatto con l’arrivo di una ventata di dolore che potrebbe distruggerci, annullarci, farci sparire. L’essere umano non può negare a se stesso la complessità di tutti questi sentimenti, qualunque posizione scelga di assumere. La colpa, il dispiacere, l’odio, la rabbia, il desiderio di riparare. Quando sentiamo che non è possibile avvicinare tutto questo, chiudendoci in una posizione che ci rende superiori o distanti dalla nostra e altrui distruttività, stiamo tagliando via qualcosa di noi stessi, una parte necessaria che, con fatica, continuiamo ogni giorno a contattare, bonificare, non dimenticare. Lo psicoanalista che desidera essere tale, non può smettere di pensare alla complessità che alberga nella sua mente.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva
Pensieri dalla lettura del libro “Seiobo è discesa quaggiù”, di Laszlo Krasznahorkai
Un libro pieno di poesia e di complessità. Attraverso la prosa di questo autore ungherese ci possiamo perdere tra le parole, senza punti, nel fluire del pensiero e della vita attorno a noi. I racconti che compongono questo libro ci portano nelle trame dell’umano, in luoghi e ambienti diversi, più lontani e più vicini, per sentire il senso della vita, che ci spinge a contemplarne la meravigliosa bellezza. Nulla può rovinare lo splendore dell’essere umano che sa guardare, pensare, fermarsi di fronte alla vita. Che sa indugiare di fronte a un fiore che timidamente affaccia i suoi petali verso il sole, che è in grado di rovinare, di distruggere, di ricreare, nell’incessante fluire della sua esistenza. Povero è l’uomo che non si concede tali opportunità, perché preso dai suoi meschini giochi sull’esistenza, perché incapace di vedere più lontano di se stesso, distante dal riconoscimento che ogni creatura vivente è dotata di bellezza nella sua estrema imperfezione. Leggendo, i rapporti tra le persone si dipanano, investendo di affetti gli oggetti, i luoghi, dando senso e forma alla realtà. Questo libro ci lascia un senso di esistenza, profondo, vero, se sappiamo trovarlo dentro di noi, come il titolo di questi racconti, che ci parla della dea Seiobo che, nella mitologia giapponese ha un giardino in cui crescono alberi di pesco che producono i loro frutti ogni tremila anni e solo chi riesce ad assaporarne la polpa, avrà l’immortalità. Ma cosa intendiamo per immortalità? lo scrittore parla di immortalità come di una capacità, profonda, reale, di essere nel fluire della vita, di godere di tutto ciò che si incontra durante il cammino, avendo la possibilità di guardarlo e, successivamente, di perderlo, permettendosi di vivere tutto il dolore che ne consegue. Spesso, nel lavoro clinico, ci troviamo vicino a colleghi che affondano così potentemente le radici nel loro privato narcisismo, tanto da aver bisogno di sentirsi immortali grazie al riconoscimento acritico da parte dell’altro. E questa richiesta di essere riconosciuti ed apprezzati, pericolosamente ambigua e sotterranea, non ci permette di nutrire la nostra sana vitalità, che nasce dalla forza dell’Io. Questa forza è necessaria perchè ci permette, nel lavoro dell’analisi personale, di addentrarci nell’Es, nella nostra parte inconscia per poi riemergerne, più solidi e con maggiori possibilità di conoscere noi stessi e l’altro. Ma la forza dell’Io, in alcuni percorsi di analisi sventurati, può, partendo da un’iniziale fragilità, tendere ad indebolirsi sempre di più. La mancanza di interpretazioni di transfert da parte dell’analista oppure la richiesta inconscia di aderire a un ideale di paziente, non ci permette di dare spazio alla nostra vitalità e alla nostra libertà interna. E allora, i momenti trasformativi di incontro con noi stessi e con il mondo esterno si perdono nella vuota impalcatura di un far finta di essere ciò che non si è. Non potremo, così, divenire psicoterapeuti o psicoanalisti in grado di reggere i vissuti di un nostro futuro paziente, che diventerà svuotato come lo siamo noi. Nessuna vitalità potremo sentire, perché incapaci di avvicinare la complessità dei vissuti umani, ignari della sensazione di pienezza e di esistenza. E i racconti di Laszlo Krasznahorkai appariranno, per noi, meri esercizi di stile, da conoscere, ma senza sentire nulla. Come potrebbe accadere ai nostri futuri pazienti. Speriamo di incontrare qualcuno che ci insegni a sentire, con coraggio, il fluire della vita interna. Ed auguriamoci di essere in grado di scegliere dove direzionarci per concedere a noi stessi questi incontri.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva
Pensieri dalla lettura del libro “la porta delle stelle”, di Ingvild Rishoi
Un libro che non possiamo perderci. La scrittrice norvegese ci porta in modo netto, diretto, senza veli, nell’esperienza della vita. Periferie di città nordiche, dove il giorno e la notte non si alternano più, ma che custodiscono, nel loro segreto e magico incedere, le emozioni del nostro mondo interno. La voce narrante è una bambina, che scopre con stupore il piacere, i legami, la speranza, insieme alla disperazione, all’impotenza, al dolore. Tutto è presente, intenso, pietosamente commovente. Cos’è la speranza? dove si collocano i sogni nella vita umana? come sopravvivere alla realtà? Nella desolazione della mancanza, nella natura sferzata dal freddo, nell’anima che tenta di mantenere un soffio di vitalità sempre sul punto di esaurirsi, la mente umana può trovare nuovi spazi. Per piangere, per sentire dolori che non permettono più di sopravvivere. Come può la speranza, il desiderio, convivere con la disperazione? come può la vita convivere con la morte? come può l’amore sostare insieme all’odio? Il titolo così evocativo di questo romanzo, la porta delle stelle, rimanda ad un locale dove la vita si ferma e si avviluppa nell’alcolismo, oppure ad una soglia da varcare per sentirci liberi di esistere? vita e morte, entrambe insieme, nella crudeltà, ma anche nella pienezza dell’esperienza umana. La psicoanalisi ci insegna la complessità dei nostri vissuti interni. Ci mette di fronte ai tanti significati dell’esistenza, in un poliedrico prisma che non sempre siamo in grado di guardare in tutte le sue facce. I dolori che attraversiamo, possono costituire per noi una base da cui allontanarci, senza perderne il senso, collegandoli, negli anni, alle nuove vicende che ci troviamo ad affrontare. La perdita, la paura, unite al desiderio, all’importanza dei legami, si insinuano dentro di noi come un vortice di ghiaccio, come una tremenda tempesta che si snoda nel nostro interno. Possiamo ripararci? oppure ci troveremo incessantemente immersi in questo continuo turbine che, in apparenza più calmo, tornerà a sferzare gelo e ghiaccio appena se ne presenterà l’occasione? Un percorso di psicoanalisi personale ci insegna che non possiamo evitare la tempesta, ma possiamo affrontarla con qualcuno che, diversamente da noi, ne conosce la forza e può sostare in questi territori. Ma è compito nostro, quando lo sentiremo opportuno, spostarci e proseguire. Se rimaniamo immersi nella tempesta, nulla cambierà. Attenderemo fasi di cielo sereno, fasi di luce e ci ritroveremo di nuovo immersi nello stesso, potente, uragano. Una buona analisi ci permette di affrontare ciò che siamo in grado di reggere, per poi spostarci verso nuovi territori. Se rimaniamo fermi, non potremo mai dare significato a quella tempesta che, senza il nostro apparente volere, continuerà a sommergerci.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva