Pensieri sulla psicoanalisi
Pensieri, riflessioni sulla disciplina che abbiamo ereditato e che tanto ci appassiona, per non dimenticarne il rigore e la ricchezza.

La vitalità dei figli può travolgere i genitori
I genitori, travolti e invasi dalla violenta vitalità dei loro figli possono, per fragilità, per inerzia, per incapacità, inseguire proprio quelle parti di loro che, con profondo dolore, devono lasciare andare. Non possono fermarsi a piangere i propri limiti, le inevitabili incapacità e le aree cieche, ma continuano in un eterno girare per riprendere qualcosa che credono gli appartenga. I figli rompono, dolorosamente protagonisti del disastro, ma i genitori seguono, senza vedere. Se quei genitori potessero perdonare se stessi per le proprie mancanze e i propri figli per la loro perentoria richiesta di esistenza, riuscirebbero a risistemare e a rendere percorribile quel trampolino dal quale loro non possono più lanciarsi, per fare spazio, finalmente, a coloro che ne hanno il bisogno e la forza. Questi genitori, trovandosi così incastrati in un territorio eternamente ripetitivo, dimenticano che la forza dei loro figli nasce in un luogo comune, ma può andare anche oltre. E questo non è offensivo, non crea angoli bui nei quali essere dimenticati, ma permette di godere dell'esistenza di un altro che non ci appartiene, ma che scopriamo con meraviglia.
Psicoanalisti dell'Associazione Psicoanalitica Gradiva

La spinta a riparare
La spinta a riparare, in senso psicoanalitico, si riferisce alla possibilità di comporre, dentro di noi, vissuti distruttivi senza perderne la potenza, guardandoli e riconoscendoli nella loro crudeltà, tenendo insieme sensazioni di segno opposto, come la colpa, la speranza, la possibilità di arginare aspetti così malvagi. Riparare non vuol dire allontanarci dalla distruttivita', ma sentirla nella sua scomodità, riconoscerla, bonificarla con fatica e con coraggio. L'altro, lo psicoanalista, se è stato in grado per sé stesso di sentire la propria distruttivita', di esserne potentemente rapito, ma non invaso e cancellato, può accompagnarci verso le nostre aree più crudeli. La rigidità del genitore o del maestro che crede sempre di stare nel giusto, non permette alla spinta a riparare di fare il suo corso. Il figlio, il giovane, così violentemente impedito nella possibilità di modulare l'aggressività, sarà costretto ad agirla, creando quell'inevitabile rottura che si troverà a dover riparare da solo. Le generazioni precedenti, chiuse in un'ostinata durezza, cancellano ogni possibilità di elaborazione condivisa, privandosi della consolazione di vedere finalmente un altro in grado di offrire la riparazione che hanno negato a loro stesse e trovandosi così a dover ripetere incessantemente un passato rimasto congelato.
Psicoanalisti dell'Associazione Psicoanalitica Gradiva

L'esilio del figlio
Quando un genitore sente di non riconoscere più suo figlio, cercando di cancellarne la presenza nelle sue attività concrete e mentali, sta sgretolando anche una parte di sé stesso. Quel figlio incarna tutti gli aspetti che, di sé stesso, il genitore non può vedere, sentire, elaborare. L'esilio del figlio diventa un'erranza senza tempo e senza spazio, alla ricerca di parti oscure di sé stesso che non riconosce, perché non gli appartengono. Talvolta, accade che il genitore, risvegliato dal torpore fasullo che sembrava fintamente averlo alleggerito, potrebbe coraggiosamente tendere la mano. L'adulto, incontrando realmente se stesso e il proprio dolore, libera il giovane dall'esilio, investendolo di quella ventata di affetto che trasformerà la trappola del vagabondare in un viaggio scelto, accompagnato, seppur rischioso e dagli esiti incerti. Ancora presenti insieme, genitori e figli, nel cammino della vita. Ma questo atto generoso, che porta con se aperture e sofferenze, può non può essere compiuto. Rimane un dolore impenetrabile, che il genitore non sarà in grado di avvicinare. Ma iI figlio, nonostante tutto, nel suo faticoso errare, proverà a tracciare la strada che il genitore non è mai riuscito a percorrere, attraversando da solo i territori del dolore, dello spavento e della nostalgia, trovando forse compagni di viaggio che appaiono dispersi come lui. Sapendo che nulla gli sarà risparmiato, ma non potendo fare altro che proseguire in avanti, piangendo la durezza di ciò che resta pietrificato.
Psicoanalisti dell'Associazione Psicoanalitica Gradiva
La maschera della creatività
La psicoanalisi, così per come ci è stata trasmessa, poggia su salde teorie e su un rigoroso modo di stare e di essere nella seduta. Il setting, la frequenza degli incontri, permette il crearsi di quell'argine che ci mantiene in contatto con noi stessi e con l'altro. La nostra creatività, come psicoanalisti, nasce dal pensiero, mai all'azione. Nel violento desiderio di consolare, avvicinare, prendere dentro o espellere, rischiamo di illuderci che, agendo i nostri bisogni, possiamo inaugurare un nuovo modo creativo e sano di lavorare. In realtà, siamo come quei genitori, quei maestri, che non sanno guardare con umiltà a ciò che hanno ricevuto, portando un'ineludibile bisogno di essere onnipresenti. Lo psicoanalista, il genitore, il maestro, così nutrito dai propri bisogni narcisistici, non vede l'altro, il figlio, il paziente, l'allievo, che è così impedito nella sua capacità di incontrare se stesso e l'altro. Il percorso analitico può diventare un mero esercizio di stile, dove si incontrano e si confondono intellettualismi, false lealtà mai elaborate, ripetizioni di relazioni ambigue e improntate all'impostura. E quell'analista, quell'allievo, quel figlio, formato in tali indicibili ed inelaborabili vissuti, ripeterà incessantemente Il dramma di sentirsi abitato da qualcun altro. La psicoanalisi, rigorosamente applicata, é uno spazio in cui sentire il conflitto psichico, nelle complesse vicende trasferali che, con il timing appreso in anni di formazione, permette un incontro autentico con noi stessi e con i nostri tempi. Diffidiamo dello psicoanalista, del genitore o del maestro che nasconde le proprie aree cieche dietro la maschera della creatività e non entra nell'ambivalenza del conflitto che riguarda l'essenza dell'essere umano, con la scoperta della mancanza, dell'angoscia, della perdita, che può essere contenuta, riconosciuta ed elaborata per cercare di aprire nuovi spazi, dentro e fuori di noi, con la fatica e il dolore che questa complessa elaborazione psichica sempre comporta.
Psicoanalisti dell'Associazione Psicoanalitica Gradiva
Essere psicoanalista: un confronto rigoroso tra teorie e capacità emotive personali
La psicoanalisi, per come dovrebbe essere trasmessa, poggia su un saldo impianto teorico-clinico, conosciuto, compreso ed interiorizzato. Per formarsi come psicoanalista, è fondamentale la conoscenza teorica dei tesi classici degli autori che sentiamo come maestri, sempre presenti nel loro fervido impegno volto alla comprensione dei territori psichici. Una salda formazione in campo psicoanalitico parte dagli autori e dalla conoscenza teorica, che attraverso una lettura attenta ed emotivamente sentita, ci permette di entrare nella complessa articolazione del pensiero che prova a spiegare il funzionamento psichico, fin dai livelli più precoci dell’esperienza. La lettura guidata dei testi psicoanalitici è una base indispensabile, ancora prima della riflessione sulla clinica. Solo quando abbiamo dei solidi piastri teorici, possiamo guardare alla clinica e collegarla alla teoria. Spesso, ci capita di ascoltare situazioni cliniche, dalle quali nasce la riflessione teorica. In realtà, tale processo è sempre parziale. La clinica ci porta a vedere ciò che abbiamo già in mente, senza aprirci al nuovo, all’inesplorato, alla complessità. Per lavorare come psicoanalista, bisogna avere il coraggio di mettere da parte la nostra creatività onnipotente, per utilizzare con pazienza ed umiltà il solido corpus teorico che abbiamo ricevuto in eredità. Ogni psicoanalista, anche il più esperto, non deve dimenticare il limite, lo studio rigoroso e continuo dei maestri di ieri e di oggi, che rappresentano una guida, che dobbiamo tenere a mente, nel proporre il nostro modo di lavorare. L’individualità dell’analista, il suo patrimonio affettivo, non è un istrionico pensare sulla clinica, ma un faticoso e rigoroso lavoro di confronto tra le teorie e le capacità emotive personali, che si accrescono nel tempo attraverso una formazione permanente con colleghi e maestri. La tenuta emotiva di uno psicoanalista poggia primariamente su una lunga analisi personale, che dovrebbe consentirgli di uscire dal narcisismo patologico che affligge molti clinici, che desiderano innovare, cambiare, essere riconosciuti. Non dimentichiamo che lo psicoanalista, orientato alla cura dell’altro, è un clinico che non cerca visibilità, innovazione, prestigio, ma un operaio della mente, che dalla sua personale valigetta, è in grado di prendere e utilizzare gli strumenti del mestiere, come il timing, l’interpretazione, la tenuta del setting. Strumenti complessi da acquisire, che dobbiamo continuamente tenere nella mente, rinnovando la tenuta, la serietà e il rigore e mantenendo viva la nostra gratitudine ai maestri che ci hanno trasmesso il corpus teorico della della psicoanalisi che ci permette di pensare e di compiere atti clinici.
Psicoanalisti dell'Associazione Psicoanalitica Gradiva
Pensieri sulla nostra formazione come clinici e come psicoanalisti
Il lavoro del negativo, la capacità di avvicinare l’inconscio nella seduta psicoanalitica, per come ci è stato trasmesso attraverso le teorie e il saper fare clinico, presuppone un autentico contatto con noi stessi e con l’altro. Questo contatto poggia sulle qualità personali dell’analista che sono state smussate, bonificate ed amplificate dal lento ed incessante lavoro della propria analisi personale. Questo cammino non è mai definitivo, ma presuppone l’umiltà di ritrovare, nel tempo, spazi di pensiero e di riflessione, sia personali, sia nel gruppo. L’istituzione, per lo psicoanalista, è un luogo necessario, perché gli permette di osservare se stesso e il suo modo di funzionare, continuando a porsi domande sul proprio operato. Possiamo incontrare molti rischi in questa cammino. Rischi individuali, quando lo psicoanalista si erge a maestro intoccabile, fintamente capace di insegnare, ma pericolosamente in cerca di adepti che non ne critichino mai il modo si essere e di fare. Tale situazione, spesso silente per lungo tempo, tende ad invadere i luoghi istituzionali, portandoci nel campo dei rischi collettivi. Un gruppo formato con questi presupposti, non può che avvicinare allievi poco capaci di tenuta emotiva. Infatti, in queste situazioni genitori/maestri coltivano e scelgono figli/allievi, nell’inconscio desiderio di essere finalmente riconosciuti per i propri meriti e per le proprie capacità, riecheggiando antiche ferite mai elaborate pienamente. Si diventa ciechi verso la scelta degli allievi, che non saranno più coloro che, nel tempo, diverranno in grado di affiancare, superare, prendere decisioni, ma resteranno nel territorio della vuota emulazione di qualcosa che non potranno mai afferrare. Prendono così vita istituzioni malsanamente funzionanti, in cui la spinta ad essere riconosciuti e il desiderio di essere apprezzati lavorano sotterraneamente a livello narcisistico, permeando, non visti, ogni aspetto del lavoro di gruppo. E chiunque provi a riflettere su queste modalità, non può che essere allontanato ed espulso, in un circolo di continue ripetizioni. Si può solo rimanere incastrati dentro queste dinamiche o posizionarsi come osservatori, silenziosamente complici. Chi inizia un percorso formativo deve ben fare attenzione a questi rischi, individuali e gruppali. Deve usare il suo sentire per circondarsi da persone capaci di tenere il confine, rispettosi della propria e dell’altrui individualità. Nelle sedute psicoanalitiche, nelle supervisioni, è fondamentale tenere il confine, nello spazio, nel tempo, nei corpi. L’onorario, ad esempio, deve essere corrisposto nel tempo del lavoro insieme, mai dopo la sua conclusione, perché rischiamo di colludere con modelli ambigui di funzionamento, che ci legano emotivamente in una posizione asimmetricamente fraudolenta. Quando ci troviamo in situazioni in cui ci sentiamo incastrati in dinamiche non funzionanti, dobbiamo avere il coraggio di sottrarci al gioco perverso dell’ammirazione, della comprensione fintamente genuina e guardare ai limiti di ognuno, nel tentativo di proseguire insieme.
Psicoanalisti dell'Associazione Psicoanalitica Gradiva
Rapporto maestro/allievo nelle istituzioni psicoanalitiche e in contesti clinici
Non sempre è possibile proseguire in un'istituzione clinica nella quale siamo inseriti. Dobbiamo, allora, trovare spazi più consoni, che possono anche appartenere ad istituzioni diverse, dove possiamo trovare incontri che ci arricchiscono, ma che non nutrono il nostro narcisismo e nei quali non siamo noi a dover nutrire l’altro con la nostra presenza o con i nostri limiti suscitando il bisogno di venirci incontro ad ogni costo. L’allievo e il maestro necessitano l’un l’altro per un tratto di strada, ma poi hanno bisogno di guardarsi negli occhi e vedere la distanza che esiste tra loro. A volte, gli allievi sono impazienti, poco esperti di spazi istituzionali, ed è in queste situazioni che i più anziani possono trasmettere il loro sapere. Altre volte, i maestri sembrano avere un solo occhio funzionante. Restano chiusi in una visione ristretta, senza poter vedere tutta la complessità che si muove di fronte a loro. Per età, per vissuti personali, per gli inevitabili cambiamenti occorsi nelle loro vite, può accedere che i maestri non riconoscano più i loro allievi, ne patiscano le spinte vitali, libere, creative. Ne invidino le nuove capacità nascenti, dimenticando che l’altro, nelle sue necessarie differenze, porta avanti sempre qualcosa che ci appartiene. Nelle istituzioni psicoanalitiche vediamo spesso modalità di funzionare inadeguate al vero incontro con l’altro. Si dimenticano i maestri del passato, le basi teorico-cliniche che abbiamo ricevuto, restando incastrati nella certezza dei vissuti clinici che non possono essere criticati perché personali ed emergenti dall’incontro con il paziente, dimenticato nei suoi reali e complessi bisogni. Il mestiere di psicoanalista non è affidato al sentire creativo dell’artista, ma al lavoro meticoloso e preciso dell’operaio della mente. Dove trovare spazi per crescere internamente, come clinici? Negli incontri umani, vari e diversi, con i maestri di ieri e di oggi, nei libri e nelle relazioni reali, che ci permettano di diventare noi stessi, non una copia malamente riuscita di qualcuno che tenta così di essere eterno, rivivendo incessantemente se stesso attraverso di noi. Quando ci troveremo noi nella posizione di maestri, proviamo a lasciare lo spazio a chi, con capacità e coraggio, erediterà ciò che siamo riusciti a trasmettere, facendolo diventare altro da noi. Proviamo ad imparare ad essere grati a chi ci insegna qualcosa che non avevamo già in mente, a chi è più bravo di noi, a chi può permetterci di migliorare. Se non riusciremo in questa difficile impresa, riconoscendo prima di tutto i nostri limiti, i nostri allievi futuri ce ne chiederanno conto.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva
Di seguito il dipinto del 1470/1475 "Battesimo di Cristo", Verrocchio-Leonardo, conservato nella galleria degli Uffizi. Lo storiografo Giorgio Vasari racconta: "per l’esecuzione del dipinto Andrea Del Verrocchio lavorò con il suo giovane allievo Leonardo, che eseguì con straordinaria maestria la figura dell’angelo a sinistra, così da indispettire il più anziano Verrocchio".
La scelta del percorso formativo
La scelta di un percorso formativo come psicoterapeuta o come psicoanalista è un momento importante. I primi colloqui ci permettono di incontrare, con la mente e con il corpo, i maestri che ci accompagneranno per un tratto di strada. Le sensazioni, le percezioni, i segnali emotivi e fisici ci consentono di sentire la qualità dell'incontro, i nostri movimenti profondi. E questo avviene anche nelle supervisioni: risuonano nella nostra mente i luoghi in cui camminiamo, l'esperienza del dialogo, intenso, reale, faticoso. Siamo preoccupati quando i primi colloqui e le supervisioni avvengono da remoto, come in alcune società psicoanalitiche e psicoterapeutiche. Quanto perdiamo nella nostra capacità di sentire? quanto perdono i maestri nella conoscenza profonda dei loro allievi, presenti e futuri? Quando accade che le spinte narcisistiche dei maestri sono elevate e il bisogno di emulare è centrale negli allievi, si possono creare situazioni confusive, dove si rischiano sterili appiattimenti o pericolose deviazioni. Tutto può diventare annacquato, nessuna fermata in una corsa verso l'acquisizione di capacità fasulle. Non accettiamo questo tipo di formazione, chiediamo rigore, fatica, corpo. Se non abbiamo sperimentato un incontro autentico, dunque complesso, come potremo percorrere la strada di una formazione rigorosa? Ci incanaleremo per i sentieri dell'impostura, provando poco piacere nel lavoro clinico e cercando nuovi adepti che ammirino il nostro modo di innovare, dimenticando che la nostra capacità clinica non può prescindere né dalla mente né dal corpo, come la teoria e la clinica psicoanalitica ci hanno insegnato.
Psicoanalisti dell’Associazione Psicoanalitica Gradiva